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Disdetta del contratto di locazione, recesso e rimedi legali: parola all’avvocato

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Disdetta del contratto di locazione, recesso e rimedi legali: parola all’avvocato

da | Ott 21, 2025 | Diritto civile

La disdetta del contratto di locazione rappresenta uno dei temi più ricorrenti nel contenzioso civile, in quanto costituisce l’atto con cui una delle parti manifesta la volontà di impedire la prosecuzione del rapporto contrattuale alla sua naturale scadenza.

Le controversie in materia di locazione, tanto ad uso abitativo quanto commerciale, sono spesso originate da vizi formali della comunicazione di disdetta, da motivazioni non conformi ai presupposti di legge o da un errato esercizio del diritto di recesso. La complessità della disciplina, che intreccia norme di diritto civile e disposizioni contenute in leggi speciali, impone un’analisi attenta dei principi applicabili e delle più recenti pronunce giurisprudenziali.

L’obiettivo del presente contributo è fornire una panoramica sistematica delle disposizioni più rilevanti in tema di disdetta dal contratto di locazione e  di recesso.

Sarà delineato il quadro normativo previsto dalla Legge 9 dicembre 1998, n. 431, che regola le locazioni abitative, e dalla Legge 27 luglio 1978, n. 392, che disciplina le locazioni ad uso diverso da quello abitativo.

Attraverso l’esame coordinato delle fonti legislative e giurisprudenziali, l’articolo intende offrire al lettore una guida ragionata all’applicazione concreta degli istituti della disdetta e del recesso, individuando le ipotesi in cui il locatore o il conduttore possono legittimamente far cessare il rapporto e i rimedi esperibili in caso di violazione delle norme che ne regolano l’esercizio.

Natura giuridica della disdetta del contratto di locazione

La disdetta del contratto di locazione costituisce un atto negoziale unilaterale e recettizio attraverso il quale una parte manifesta la propria volontà di non rinnovare il rapporto alla scadenza convenzionale.

Sul piano giuridico, la disdetta non si configura come una dichiarazione di recesso in senso stretto, bensì come esercizio di un diritto potestativo che incide sulla sorte del contratto, impedendone la prosecuzione automatica. Essa è disciplinata dagli articoli 1334 e 1335 del codice civile, i quali stabiliscono che gli atti unilaterali producono effetto dal momento in cui giungono a conoscenza del destinatario e si reputano conosciuti quando pervengono al suo indirizzo, salvo prova contraria dell’impossibilità incolpevole di averne notizia.

In questa prospettiva, la Cassazione civile, con l’ordinanza 20 giugno 2022, n. 19824, ha ribadito che, per rendere efficace la disdetta del contratto di locazione, è sufficiente che la comunicazione sia recapitata all’indirizzo del conduttore, anche qualora questi non ne abbia preso effettiva visione.

La Corte ha precisato che l’atto, una volta giunto all’indirizzo del destinatario, concretizza la possibilità giuridica di conoscenza, la quale è sufficiente a produrre l’effetto impeditivo della rinnovazione tacita del contratto. Ne consegue che le modalità di trasmissione della comunicazione – generalmente a mezzo raccomandata con avviso di ricevimento – non incidono sulla validità dell’atto, purché sia provato il suo recapito presso l’indirizzo del conduttore.

La disdetta, dunque, si distingue dal recesso poiché opera in funzione estintiva del rapporto alla scadenza naturale, senza retroattività e senza necessità di giustificazione, salvo che la legge imponga la specificazione dei motivi, come avviene nelle ipotesi di diniego di rinnovo alla prima scadenza.

Tale distinzione risulta fondamentale nella prassi, poiché consente di delimitare il perimetro delle obbligazioni reciproche fino alla cessazione del contratto e di individuare con precisione il momento in cui gli effetti della disdetta si producono, evitando incertezze sull’efficacia o sulla validità dell’atto.

Disdetta del contratto di locazione abitativa: i presupposti di legge e le ipotesi tassative

Nel sistema delineato dalla Legge 9 dicembre 1998, n. 431, la disdetta del contratto di locazione ad uso abitativo rappresenta un’eccezione al principio di stabilità del rapporto, essendo ammessa soltanto in presenza di specifici presupposti di legge.

L’articolo 3 della citata legge disciplina il diniego di rinnovo del contratto alla prima scadenza, imponendo al locatore di motivare la disdetta con riferimento a uno dei casi tassativamente previsti, e di darne comunicazione al conduttore almeno sei mesi prima della scadenza contrattuale. Tra le ipotesi contemplate rientrano, tra le altre, la necessità del locatore di destinare l’immobile ad uso abitativo, commerciale o professionale proprio o di un familiare entro il secondo grado, nonché la volontà di procedere alla ristrutturazione o alla vendita dell’immobile.

La ratio di tale disciplina risiede nell’intento del legislatore di bilanciare l’interesse del proprietario con quello del conduttore, considerato parte debole del rapporto contrattuale. La legge limita infatti la possibilità del locatore di negare il rinnovo del contratto, garantendo all’inquilino una tutela di continuità abitativa e la possibilità di programmare con certezza la propria posizione giuridica ed economica. L’obbligo di motivazione della disdetta consente un controllo di legalità e di buona fede sull’effettività del motivo addotto.

Sotto il profilo giurisprudenziale, la Corte d’Appello di Torino, con sentenza 14 giugno 2022, n. 603, ha precisato che l’indicazione del motivo di disdetta è funzionale sia a un controllo ex ante, volto a verificare la serietà e la realizzabilità dell’intenzione del locatore al momento della comunicazione, sia a un controllo ex post, finalizzato ad accertare la concreta esecuzione della destinazione dichiarata. Ne deriva che la validità del diniego di rinnovo deve essere apprezzata in relazione al momento in cui la disdetta viene notificata, costituendo il termine di comunicazione un punto di riferimento per la cristallizzazione degli effetti giuridici dell’atto.

La disdetta del contratto di locazione e l’intenzione del locatore: limiti e controlli del giudice

La disdetta del contratto di locazione abitativa, quando fondata sull’intenzione del locatore di destinare l’immobile a uso proprio o familiare, pone una questione centrale circa l’estensione del potere di controllo del giudice sulla serietà del motivo addotto.

L’ordinanza della Corte di Cassazione del 28 marzo 2022, n. 9851, ha chiarito che la valutazione giudiziale deve limitarsi a verificare la serietà e la realizzabilità dell’intenzione, senza potersi spingere a sindacare l’utilità o la convenienza della destinazione dichiarata. Secondo la Suprema Corte, la legge ritiene sufficiente la semplice manifestazione di volontà del locatore, purché non fittizia o elusiva, non essendo richiesto che egli dimostri un’esigenza imprescindibile o urgente di utilizzo dell’immobile.

Il principio si fonda sull’interpretazione dell’articolo 3, comma 1, lettera a), della Legge 431/1998, che riconosce al locatore la facoltà di negare il rinnovo del contratto alla prima scadenza qualora intenda destinare l’immobile ad uso abitativo o professionale proprio, del coniuge o dei parenti entro il secondo grado.

L’intenzione deve essere seria, ossia giuridicamente e tecnicamente realizzabile, ma non può essere oggetto di un giudizio di merito da parte del giudice, poiché ciò equivarrebbe a una indebita interferenza nella sfera di autonomia privata. Come ribadito anche in precedenti arresti (Cass. civ., sez. III, 15 gennaio 2010, n. 977; Cass. civ., sez. III, 20 maggio 2010, n. 12127), la volontà del locatore è sindacabile solo qualora emergano elementi concreti che ne dimostrino l’irrealizzabilità o la mala fede.

Tale impostazione trova giustificazione nel sistema di garanzie predisposto dal legislatore, che sanziona l’abuso del diritto di disdetta.

L’articolo 3, commi 3 e 5, della Legge 431/1998 prevede, infatti, che qualora il locatore non adibisca l’immobile all’uso dichiarato entro dodici mesi dalla riacquisizione della disponibilità, il conduttore ha diritto al ripristino del contratto alle stesse condizioni ovvero, in alternativa, al risarcimento del danno in misura non inferiore a trentasei mensilità dell’ultimo canone percepito.

Il sistema di tutela è dunque fondato su un equilibrio: da un lato, la libertà del locatore di esercitare la disdetta; dall’altro, la garanzia per il conduttore contro un uso pretestuoso o fraudolento di tale facoltà.

Recesso e diritti del conduttore nella locazione abitativa

Accanto all’ipotesi di disdetta del contratto di locazione esercitata dal locatore, la disciplina prevede anche la facoltà del conduttore di recedere anticipatamente dal contratto, purché ricorrano circostanze di natura oggettiva e imprevedibile che rendano impossibile la prosecuzione del rapporto.

Tale diritto trova fondamento nella Legge 27 luglio 1978, n. 392 e, per i contratti ad uso abitativo, nell’articolo 3, comma 6, della Legge 431/1998, secondo cui l’inquilino può recedere in presenza di una giusta causa, dandone comunicazione al locatore con un preavviso di almeno sei mesi.

La giusta causa deve consistere in un evento sopravvenuto, non dipendente dalla volontà del conduttore, che renda oltremodo gravosa o incompatibile la prosecuzione del contratto.

La giurisprudenza ha riconosciuto un’ampia varietà di circostanze idonee a integrare la giusta causa, tra cui motivi di salute, esigenze familiari, trasferimenti lavorativi o mutate condizioni economiche tali da rendere impossibile l’adempimento delle obbligazioni contrattuali.

Ciò che rileva, tuttavia, è la natura sopravvenuta e non volontaria dell’evento: non costituisce giusta causa, ad esempio, la mera convenienza economica derivante dal reperimento di un immobile con canone inferiore. Il recesso deve essere comunicato in forma scritta, di regola mediante raccomandata con avviso di ricevimento, e deve contenere una sufficiente indicazione dei motivi, pena l’inefficacia dell’atto.

Sul piano temporale, il recesso produce effetto decorsi sei mesi dalla ricezione della comunicazione da parte del locatore. Durante tale periodo, il conduttore è tenuto al pagamento del canone, anche qualora decida di liberare anticipatamente l’immobile.

La Cassazione civile, ordinanza 27 settembre 2017, n. 22647, ha precisato che il recesso deve essere espresso per iscritto e che la manifestazione orale di volontà è giuridicamente irrilevante, trattandosi di un atto recettizio. Analogo principio è stato affermato dal Tribunale di Roma, sentenza 6 giugno 2019, n. 12091, secondo cui, in tema di locazioni ad uso diverso, i gravi motivi devono essere enunciati nella comunicazione di recesso, pur senza una motivazione analitica, ma in modo tale da consentire al locatore di comprendere la causa del recesso.

Il conduttore che eserciti legittimamente il recesso conserva il diritto alla restituzione del deposito cauzionale, previa verifica dello stato dell’immobile, mentre, in caso di illegittimità o di abbandono anticipato privo di giusta causa, il locatore può agire per il risarcimento del danno o trattenere le somme dovute a titolo di garanzia.

Il recesso anticipato, pur configurando un rimedio eccezionale, costituisce espressione del principio di buona fede contrattuale e di tutela dell’equilibrio sinallagmatico tra le parti, assicurando un punto di equilibrio tra l’interesse abitativo dell’inquilino e quello patrimoniale del proprietario.

Disdetta del contratto di locazione commerciale e disciplina speciale della Legge 392/1978

La disdetta del contratto di locazione ad uso commerciale obbedisce a una disciplina peculiare dettata dalla Legge 27 luglio 1978, n. 392, la quale mira a tutelare la continuità dell’attività economica esercitata dal conduttore e, al contempo, a garantire al locatore il diritto di riacquistare la disponibilità del bene in casi specificamente previsti.

L’articolo 29 della legge prevede che il locatore possa comunicare la disdetta alla prima scadenza del contratto – generalmente dopo sei anni, ovvero nove nel caso di locazioni alberghiere – solo per i motivi tassativamente elencati, dandone comunicazione al conduttore con un preavviso di dodici mesi (o diciotto mesi per gli immobili destinati ad attività ricettive). La disdetta costituisce anche in questo contesto un atto unilaterale e recettizio, che deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione espressa del motivo su cui si fonda.

Tra le ipotesi che legittimano il diniego di rinnovo rientrano l’intenzione del locatore di adibire l’immobile ad abitazione propria o di un familiare entro il secondo grado, di utilizzarlo per l’esercizio di un’attività commerciale o professionale propria o di un parente, oppure di procedere alla demolizione, ristrutturazione o integrale ricostruzione dell’edificio.

Il legislatore ha previsto, inoltre, che per la validità dell’azione di rilascio nei casi di lavori edilizi sia necessario il possesso della licenza o concessione edilizia, pena la decadenza del diritto. In mancanza della disdetta nei termini di legge, il contratto si intende tacitamente rinnovato per un uguale periodo, in ossequio al principio di stabilità dei rapporti locatizi commerciali.

La giurisprudenza di legittimità ha più volte confermato che la disdetta del contratto di locazione commerciale deve essere motivata in modo specifico e veritiero, essendo la prima scadenza funzionale a un controllo rigoroso sulla legittimità della cessazione del rapporto.

In particolare, la Corte di Cassazione, sentenza 19 febbraio 2019, n. 4714, ha precisato che la disdetta alla prima scadenza deve essere adeguatamente motivata con riferimento a ragioni eccezionali che giustifichino il sacrificio dell’attività economica del conduttore, mentre solo alla seconda scadenza il locatore può negare il rinnovo senza necessità di motivazione. In tal modo il legislatore ha inteso salvaguardare l’avviamento commerciale del conduttore, temperando l’esercizio del diritto potestativo del locatore mediante un sistema che subordina la cessazione del rapporto a cause tassative e oggettivamente verificabili.

Alla cessazione del contratto per effetto della disdetta, il locatore è altresì tenuto a corrispondere al conduttore un’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, salvo i casi in cui la cessazione sia imputabile al conduttore medesimo.

Tale indennità, di natura compensativa, assolve la funzione di riequilibrare il pregiudizio derivante dalla perdita della clientela acquisita nel corso del rapporto, ponendosi come strumento di bilanciamento tra la libertà contrattuale del locatore e la protezione dell’iniziativa economica del conduttore.

Il recesso del conduttore nelle locazioni commerciali: gravi motivi e clausole convenzionali

Anche nel contesto delle locazioni ad uso diverso dall’abitativo, la legge riconosce al conduttore la possibilità di recedere anticipatamente dal contratto, purché nel rispetto di determinate condizioni di legge.

L’articolo 27, commi 7 e 8, della Legge 27 luglio 1978, n. 392, prevede che il conduttore possa recedere in qualsiasi momento dal contratto di locazione, dandone comunicazione al locatore mediante lettera raccomandata con preavviso di almeno sei mesi, qualora ricorrano gravi motivi. La norma individua una fattispecie a contenuto elastico, la cui valutazione è rimessa all’apprezzamento del giudice di merito, con riferimento a circostanze sopravvenute, estranee alla volontà del conduttore e tali da rendere eccessivamente gravosa o impossibile la prosecuzione del rapporto.

La giurisprudenza ha precisato che i gravi motivi devono essere oggettivamente rilevanti, non potendo consistere in mere ragioni di convenienza economica o strategica. In tal senso, la Corte di Cassazione, sentenza 1° marzo 2019, n. 5803, ha chiarito che non costituisce grave motivo la scelta del conduttore di trasferire la propria attività in un immobile più vantaggioso sotto il profilo economico, poiché tale decisione è espressione di una valutazione soggettiva di opportunità e non di una reale impossibilità di prosecuzione del rapporto.

Al contrario, rientrano tra i gravi motivi le situazioni di crisi economico-finanziaria non prevedibili al momento della stipula, l’impossibilità sopravvenuta di utilizzo dell’immobile per cause estranee alla volontà del conduttore o la sopravvenuta inidoneità del bene allo svolgimento dell’attività per ragioni tecniche o urbanistiche.

La legge, inoltre, consente alle parti di disciplinare convenzionalmente il recesso, mediante apposite clausole inserite nel contratto. In tal caso, il recesso convenzionale può essere esercitato anche in assenza dei gravi motivi richiesti dalla legge, purché nel rispetto del preavviso di sei mesi e delle condizioni pattuite.

La dottrina e la giurisprudenza ritengono che tale clausola non costituisca una deroga in peius alla disciplina imperativa, bensì una pattuizione più favorevole al conduttore, coerente con la funzione di protezione dell’iniziativa economica sottesa alla legge sull’equo canone.

Nel caso di recesso, sia esso legale o convenzionale, il conduttore non ha diritto all’indennità per la perdita dell’avviamento commerciale, poiché la cessazione del rapporto non deriva da una decisione del locatore ma da una scelta autonoma del conduttore.

Tuttavia, qualora il locatore tragga un ingiustificato vantaggio dall’anticipata risoluzione, la giurisprudenza ammette la possibilità di un riequilibrio economico mediante la compensazione dei canoni non dovuti con la cauzione prestata. Il recesso, in quanto strumento di tutela della libertà imprenditoriale, deve dunque essere esercitato secondo buona fede e in coerenza con la funzione economico-sociale del contratto, rappresentando un rimedio equilibrato rispetto alla rigidità del vincolo locatizio e alla necessità di garantire la sostenibilità dell’attività d’impresa.

Disdetta del contratto di locazione e recesso: rivolgiti a un avvocato qualificato

La disciplina della disdetta del contratto di locazione e del recesso, sia in ambito abitativo che commerciale, si fonda su un complesso equilibrio tra autonomia contrattuale, tutela dell’affidamento e rispetto dei principi di buona fede e correttezza. L’esperienza giurisprudenziale dimostra come gran parte del contenzioso locatizio derivi da comunicazioni irregolari o da un uso improprio della facoltà di disdetta e di recesso.

L’osservanza scrupolosa delle forme, dei termini e delle motivazioni imposte dalla legge costituisce, pertanto, condizione imprescindibile per la validità dell’atto e per la legittima cessazione del rapporto.

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