da Redazione | Apr 24, 2025 | Diritto civile
Il risarcimento del danno da lesione di animale domestico è, da molti anni, un tema “caldo” e al centro del dibattito giurisprudenziale. Nell’ordinamento giuridico italiano, il rapporto tra individuo e animale domestico ha progressivamente assunto una dimensione sempre più significativa, in virtù di un’evoluzione culturale e sociale che ha portato al riconoscimento del valore affettivo e relazionale dell’animale d’affezione.
Tale cambiamento si riflette, sempre più frequentemente, nella prassi giurisprudenziale, la quale ha mostrato un’apertura, seppur non unanime, verso la possibilità di riconoscere forme di tutela risarcitoria in caso di lesione di animale domestico, sia essa determinata da condotta colposa, dolosa o da inadempimento contrattuale.
Nonostante la qualificazione dell’animale, ai sensi dell’art. 812 c.c., come bene mobile, l’ordinamento ha introdotto nel tempo disposizioni volte a riconoscere agli animali d’affezione una specificità ontologica e relazionale. Ne sono espressione la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia del 1987, la Legge quadro n. 281/1991, volta a promuovere e disciplinare la tutela degli animali d’affezione, nonché la Legge n. 189/2004, che ha inserito nel codice penale le fattispecie di reato a tutela del sentimento per gli animali.
Parallelamente, la giurisprudenza di merito ha talvolta riconosciuto la perdita o la lesione dell’animale come fatto lesivo di situazioni soggettive meritevoli di tutela, in quanto incidenti sulla sfera affettiva e relazionale del soggetto leso, tutelata ex art. 2 della Costituzione.
Alla luce di tale evoluzione, il presente articolo si propone di offrire una ricostruzione sistematica del quadro normativo e giurisprudenziale in tema di risarcimento del danno per morte o lesione di animale domestico, illustrando le differenti basi giuridiche della responsabilità, le voci di danno risarcibili, i percorsi alternativi alla giurisdizione ordinaria e il ruolo centrale dell’avvocato nella piena tutela dei diritti lesi.
La tutela risarcitoria per lesione di animale domestico: tra danno patrimoniale e danno non patrimoniale
La progressiva attenzione dell’ordinamento giuridico verso la lesione di animale domestico ha determinato un ampliamento delle categorie di danno suscettibili di ristoro, in particolare con riferimento alla possibilità di riconoscere non soltanto un danno patrimoniale, ma anche un danno non patrimoniale in capo al proprietario dell’animale o al soggetto affettivamente legato ad esso.
Il danno patrimoniale trova il suo fondamento normativo nell’art. 1223 c.c., applicabile anche in sede extracontrattuale per effetto del rinvio contenuto nell’art. 2056 c.c., e comprende tutte le perdite economicamente valutabili subite dal danneggiato, in conseguenza immediata e diretta del fatto illecito.
Con riguardo alla lesione di animale domestico, si possono ricomprendere in tale categoria le spese sostenute per cure veterinarie, interventi chirurgici, accertamenti diagnostici, trattamenti terapeutici e, in ipotesi di morte dell’animale, il suo valore di mercato. In giurisprudenza si è evidenziato come tali voci siano risarcibili a prescindere dalla natura di razza o meticcia dell’animale, purché adeguatamente provate nel loro importo e nella loro derivazione causale dal fatto dannoso.
Ben più complessa risulta, invece, l’elaborazione giuridica del danno non patrimoniale. Ai sensi dell’art. 2059 c.c., esso è risarcibile solo nei casi previsti dalla legge. In tale ambito, assume rilievo l’art. 185, comma 2, c.p., che estende la risarcibilità ai danni non patrimoniali derivanti da reato, e l’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 2 della Costituzione, in base alla quale si riconosce tutela a diritti inviolabili della persona, quali il diritto alla sfera affettiva e relazionale.
In questa prospettiva, talune pronunce di merito (Trib. Pavia, 16 settembre 2016; Trib. Venezia, 17 dicembre 2020; Trib. Pisa, 3 novembre 2023) hanno ritenuto che la lesione di animale domestico possa comportare un pregiudizio risarcibile non solo per il danno materiale, ma anche per la sofferenza morale e il turbamento psichico subiti dal soggetto danneggiato, configurando una lesione alla sua integrità affettiva.
Il riconoscimento del danno non patrimoniale non è tuttavia automatico, essendo subordinato alla prova dell’intensità del legame affettivo, della gravità del patema d’animo e della concretezza del pregiudizio subito. La valutazione giudiziale, pertanto, si sviluppa caso per caso, sulla base di elementi oggettivi e presuntivi idonei a dimostrare la centralità dell’animale nella vita del danneggiato.
La responsabilità extracontrattuale per lesione di animale domestico: l’art. 2043 c.c. e i presupposti di risarcibilità
La lesione di animale domestico può integrare, nei casi in cui non sussista un vincolo contrattuale tra le parti, un’ipotesi di responsabilità extracontrattuale ai sensi dell’art. 2043 del codice civile (il quale sancisce che “qualunque fatto doloso o colposo che cagiona ad altri un danno ingiusto obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno”). L’applicazione di tale norma comporta la necessità di accertare la sussistenza di un fatto illecito, la colpa o il dolo dell’agente, un danno ingiusto e il nesso di causalità tra la condotta e il danno.
Con riguardo alla lesione di animale domestico, possono costituire fonte di responsabilità aquiliana, ad esempio, l’investimento dell’animale da parte di un conducente negligente, l’uso di mezzi pericolosi senza le dovute cautele, o atti di violenza gratuita su animali di proprietà altrui. Il fatto generatore del danno deve essere riconducibile con nesso causale diretto alla condotta illecita del soggetto agente e deve determinare un pregiudizio giuridicamente rilevante in capo al proprietario dell’animale.
Il danno è considerato “ingiusto” ogniqualvolta incida su un interesse giuridicamente tutelato, e la giurisprudenza più evoluta ha ritenuto che il legame affettivo tra il proprietario e l’animale d’affezione possa integrare un bene della vita rilevante ai sensi dell’art. 2 della Costituzione, in quanto espressione del diritto all’identità personale e alla sfera relazionale.
In questo senso si è pronunciato, tra gli altri, il Tribunale di Venezia con la sentenza del 17 dicembre 2020 n. 1936, riconoscendo la risarcibilità del danno non patrimoniale in favore sia del proprietario dell’animale, sia del convivente, in virtù della comprovata relazione affettiva con il cane deceduto.
La prova del danno, in tali ipotesi, grava interamente sulla parte attrice, che è tenuta a dimostrare non solo l’evento dannoso e la responsabilità del convenuto, ma anche il nesso causale tra il comportamento illecito e la lesione di animale domestico, oltre alla serietà e concretezza del pregiudizio subito. Il giudice, accertata la fondatezza della domanda, potrà procedere alla liquidazione in via equitativa, tenuto conto delle circostanze del caso concreto e della documentazione probatoria offerta.
La responsabilità contrattuale o da contatto sociale qualificato per lesione di animale domestico: il ruolo del depositario e del professionista veterinario
Nel caso in cui la lesione di animale domestico si verifichi nell’ambito di un rapporto obbligatorio, quale un contratto di deposito o una prestazione d’opera professionale, trova applicazione la disciplina della responsabilità contrattuale di cui all’art. 1218 c.c., secondo cui “il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”. La responsabilità è, pertanto, presunta, e grava sul debitore l’onere di dimostrare l’assenza di colpa.
Emblematica, al riguardo, è la pronuncia del Tribunale di Prato del 2025, concernente la morte di una cagnolina affidata dai proprietari a una pensione per animali, in esecuzione di un contratto di deposito ai sensi dell’art. 1766 c.c. Il giudice ha ritenuto che la struttura fosse venuta meno all’obbligo di custodia e vigilanza, non avendo garantito la dovuta assistenza in presenza di sintomi di grave malessere, né avendo informato tempestivamente i proprietari, configurandosi un grave inadempimento dell’obbligazione principale. Il mancato attivarsi del depositario, pur avendo constatato le condizioni critiche dell’animale, ha determinato l’aggravamento della situazione clinica e, infine, il decesso dell’animale stesso.
Analogamente, nel rapporto tra cliente e veterinario, configurabile come contratto d’opera ai sensi dell’art. 2222 c.c., trova applicazione l’art. 1176 c.c. in tema di diligenza, che, nel caso di attività professionale, deve essere valutata in relazione alla natura della prestazione e alle conoscenze tecniche richieste. Se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, la responsabilità del professionista è limitata ai casi di dolo o colpa grave, secondo quanto previsto dall’art. 2236 c.c.
Nella recente sentenza del Tribunale di Pisa del 3 novembre 2023 n. 1362, relativa a un caso di malpratica veterinaria per interventi chirurgici effettuati su un cucciolo affetto da grave displasia, il giudice ha accertato la responsabilità del professionista e della clinica per aver praticato una terapia operatoria inadeguata, che ha aggravato in modo irreversibile la condizione clinica dell’animale.
Pertanto, anche nell’ambito contrattuale, la lesione di animale domestico può costituire fatto idoneo a generare responsabilità risarcitoria per il debitore inadempiente, ogniqualvolta venga meno agli obblighi di diligenza, custodia o prestazione specialistica a cui è tenuto, con conseguente obbligo di ristoro del danno, secondo i criteri previsti dagli artt. 1223, 1226 e 2056 c.c.
Le soluzioni alternative al processo nei casi di lesione di animale domestico: mediazione e negoziazione assistita
Nel contesto della lesione di animale domestico, l’ordinamento riconosce alle parti la possibilità – e, in determinati casi, l’obbligo – di ricorrere a strumenti alternativi alla giurisdizione ordinaria per la risoluzione delle controversie. In tale ambito si collocano due istituti fondamentali: la mediazione e la negoziazione assistita da avvocati, entrambi diretti a favorire una composizione consensuale della lite, con evidenti benefici in termini di celerità, economicità e minore conflittualità.
La mediazione, disciplinata dal d.lgs. 4 marzo 2010, n. 28, è obbligatoria quando espressamente prevista dalla legge come condizione di procedibilità dell’azione giudiziaria. Sebbene la lesione di animale domestico non rientri tra le materie elencate all’art. 5, comma 1, del decreto, essa può tuttavia ricadere in ambiti soggetti a mediazione obbligatoria in base al titolo giuridico del rapporto tra le parti. In particolare, qualora la controversia abbia origine nell’inadempimento di un contratto d’opera (come avviene nei casi di lesione conseguente all’affidamento del cane a una pensione o a un centro di addestramento), la parte attrice sarà tenuta a promuovere un tentativo di mediazione prima di poter agire in giudizio. L’omissione di tale passaggio processuale comporta l’improcedibilità della domanda.
Accanto alla mediazione, assume rilievo anche l’istituto della negoziazione assistita, introdotto dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito dalla l. 10 novembre 2014, n. 162. La negoziazione assistita è obbligatoria ogniqualvolta si intenda proporre in giudizio una domanda di pagamento, a qualsiasi titolo, di una somma non eccedente i cinquantamila euro, anche nell’ambito della responsabilità extracontrattuale.
Pertanto, nei casi in cui il danneggiato intenda chiedere il risarcimento per lesione di animale domestico mediante richiesta di somma rientrante nella predetta soglia, la previa negoziazione rappresenta un passaggio necessario, pena l’improcedibilità dell’azione.
Tali strumenti si rivelano particolarmente adeguati in un ambito come quello della tutela degli animali d’affezione, in cui le componenti emotive e affettive si intrecciano con aspetti tecnici e giuridici, e in cui la ricerca di una soluzione condivisa può evitare l’ulteriore stress connesso al giudizio ordinario.
Lesione di animale domestico: supporto legale e tutela dei diritti
In una controversia risarcitoria relativa alla lesione di animale domestico l’assistenza legale può essere determinante sin dalla fase preliminare, per ricostruire i fatti nella loro esatta portata giuridica, valutare la documentazione probatoria disponibile e individuare le voci di danno risarcibile, con particolare attenzione alla qualificazione del legame affettivo tra il proprietario e l’animale d’affezione.
In ambito stragiudiziale, l’avvocato assiste il cliente nell’eventuale esperimento delle procedure di mediazione o di negoziazione assistita, assicurando il rispetto degli adempimenti procedurali richiesti e facilitando la definizione di soluzioni condivise, idonee a soddisfare in tempi ragionevoli le legittime pretese risarcitorie.
In sede contenziosa, la preparazione tecnica del legale diviene poi fondamentale per la redazione dell’atto introduttivo, per la costruzione del quadro probatorio, e per la corretta qualificazione delle singole poste di danno.
Il nostro Studio, grazie a una consolidata esperienza in materia di responsabilità civile, assiste i propri clienti nella gestione integrale di controversie aventi ad oggetto la morte o la lesione di animali domestici, con un approccio professionale che coniuga competenza tecnica e sensibilità per i diritti degli animali. Contattaci per un confronto, senza impegno.
da Redazione | Apr 22, 2025 | Diritto d'Impresa
Quali sono le prossime scadenze NIS per l’anno 2025? È questa la domanda che molte organizzazioni classificate come soggetti essenziali o importanti si pongono all’approssimarsi del termine del 31 maggio.
Come noto, in attuazione della Direttiva (UE) 2022/2555, l’Italia ha adottato il Decreto Legislativo 4 settembre 2024, n. 138, che ha introdotto un articolato sistema di obblighi in materia di cybersicurezza. Tra questi, uno degli adempimenti fondamentali riguarda l’aggiornamento e la trasmissione annuale all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) di una serie di informazioni rilevanti ai fini della gestione del rischio e della resilienza dei servizi digitali.
Secondo quanto stabilito dall’art. 7, comma 4, del decreto, i soggetti che hanno ricevuto formale classificazione da parte dell’ACN come essenziali o importanti devono, a partire dal 15 aprile ed entro la scadenza del 31 maggio, aggiornare o confermare tramite la piattaforma digitale istituita dall’Agenzia una serie di dati tecnici, organizzativi e identificativi. Le scadenze NIS 2025 si inseriscono in un processo annuale di verifica e validazione che costituisce il presupposto per una vigilanza efficace e per l’integrazione nel sistema europeo di cybersicurezza.
L’obiettivo del presente articolo è quello di illustrare in modo sistematico e conforme al dato normativo quali adempimenti devono essere assolti e quali sono le scadenze NIS, chiarendo la portata delle informazioni da trasmettere, i soggetti coinvolti e le conseguenze di un eventuale inadempimento.
Scadenze NIS: cosa devono comunicare i soggetti essenziali e importanti
Nell’ambito degli obblighi imposti dal Decreto Legislativo 4 settembre 2024, n. 138, le scadenze NIS 2025 assumono un rilievo operativo di primaria importanza per tutti i soggetti classificati come essenziali e importanti (qui un approfondimento sulla formazione dell’elenco degli operatori NIS). In conformità a quanto disposto dall’art. 7, comma 4, tali soggetti sono tenuti, annualmente e con decorrenza dal 15 aprile, a trasmettere all’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale (ACN) un insieme di informazioni aggiornate che riguardano l’assetto tecnico e organizzativo dell’ente.
Tali dati devono essere inviati telematicamente tramite l’apposita piattaforma digitale NIS, e l’adempimento deve avvenire entro e non oltre il 31 maggio 2025.
Più precisamente, la norma richiede l’aggiornamento di almeno quattro categorie di informazioni. In primo luogo, devono essere comunicati lo spazio di indirizzamento IP pubblico e i nomi di dominio in uso o nella disponibilità del soggetto, elementi essenziali per la mappatura delle superfici esposte a rischio.
In secondo luogo, ove applicabile, occorre indicare l’elenco degli Stati membri dell’Unione europea in cui l’organizzazione fornisce servizi che rientrano nell’ambito di applicazione del decreto.
Devono poi essere identificati i responsabili ai sensi dell’art. 38, comma 5, ossia le persone fisiche che esercitano poteri decisionali o di rappresentanza e che, pertanto, sono giuridicamente tenute a garantire il rispetto della disciplina.
Infine, si richiede la designazione di un sostituto del punto di contatto già comunicato ai sensi dell’art. 7, comma 1, con l’indicazione del relativo ruolo e dei recapiti aggiornati, inclusi indirizzo e-mail e numero di telefono.
I dati da verificare sulla piattaforma ACN secondo la Determina n. 36117/2025
In vista delle scadenze NIS 2025, la Determinazione del Direttore generale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale n. 36117 del 10 aprile 2025 ha definito in modo puntuale le modalità operative per l’accesso e l’utilizzo della piattaforma digitale NIS, nonché l’elenco delle informazioni aggiuntive che i soggetti devono verificare e confermare entro il 31 maggio 2025, nell’ambito del processo annuale di aggiornamento. Il riferimento principale è costituito dagli articoli 15 e 16 del provvedimento, i quali delineano un articolato insieme di attività che devono essere svolte dagli utenti abilitati in rappresentanza del soggetto obbligato.
Ai sensi dell’art. 15, comma 1, il processo di aggiornamento si svolge dal 15 aprile al 31 maggio di ciascun anno, tramite il servizio denominato “NIS/Aggiornamento annuale”, con l’obbligo per tutti i soggetti NIS di assicurare la correttezza dei dati trasmessi.
Le informazioni da verificare includono, tra l’altro, i dati anagrafici e di contatto del soggetto NIS, il codice fiscale, la denominazione, la sede legale, l’identità del rappresentante legale, l’elenco dei procuratori generali, nonché il numero di telefono, il domicilio digitale e un indirizzo di posta elettronica ordinaria funzionale. L’articolo 15 richiede inoltre l’aggiornamento dell’elenco dei componenti degli organi di amministrazione e direttivi, dei servizi offerti nell’Unione europea, dello spazio di indirizzamento IP pubblico, dei domini registrati e degli eventuali accordi di condivisione delle informazioni.
L’art. 16 impone che, ai fini della conformità all’art. 7, comma 4, lettera c), del D. Lgs. 138/2024, i soggetti elenchino i codici fiscali e gli indirizzi di posta elettronica certificata delle persone fisiche che compongono gli organi di amministrazione e direttivi.
Tali dati devono essere confermati dal punto di contatto ed accettati dai soggetti stessi accedendo al Portale ACN, secondo la procedura prevista.
Scadenze NIS: il ruolo dei responsabili e degli organi direttivi
Il rispetto delle scadenze NIS non può prescindere dal coinvolgimento attivo e consapevole dei soggetti apicali delle organizzazioni classificate come essenziali o importanti. Il legislatore ha inteso attribuire una responsabilità diretta e personale agli organi di amministrazione e agli organi direttivi, chiamati non solo a sovrintendere all’adempimento degli obblighi previsti dal decreto, ma anche ad approvare le modalità di implementazione delle misure di sicurezza adottate ai sensi dell’art. 24.
In tal senso, l’art. 23 del D. Lgs. 138/2024 stabilisce che tali organi devono altresì assicurare l’adempimento degli obblighi informativi e comunicativi previsti dall’art. 7, con espressa previsione di responsabilità per le eventuali violazioni.
È opportuno rilevare che la nozione di “organi di amministrazione” e “organi direttivi” non è definita in modo univoco dalla normativa vigente, né dal decreto né dalla Direttiva NIS 2, e la sua applicazione concreta può risultare non agevole, specialmente in presenza di strutture organizzative complesse o articolate. Pertanto, i soggetti essenziali e importanti sono chiamati a operare una valutazione accurata dell’assetto interno, con riferimento alle effettive funzioni esercitate e ai poteri di gestione o indirizzo strategico attribuiti alle singole figure apicali.
In tale ottica, avvalersi di una consulenza specialistica può risultare determinante per garantire l’individuazione corretta dei soggetti responsabili e per assicurare una trasmissione conforme e completa delle informazioni richieste entro le scadenze NIS.
Oltre a ciò, il medesimo art. 23 impone ai componenti degli organi direttivi un obbligo di formazione in materia di sicurezza informatica, con il compito di promuovere percorsi formativi periodici anche per i dipendenti, così da accrescere la capacità complessiva dell’organizzazione di individuare i rischi cyber e di gestirli in modo strutturato. Gli organi devono inoltre essere informati con cadenza periodica (o comunque tempestivamente) degli incidenti e delle notifiche di cui agli articoli 25 e 26 del decreto.
Ulteriore responsabilità individuale è prevista per le persone fisiche che, pur non appartenendo formalmente agli organi collegiali, esercitano poteri decisionali o rappresentano legalmente l’organizzazione. In base all’art. 38, comma 5, infatti, “qualsiasi persona fisica responsabile di un soggetto essenziale o che agisca in qualità di suo rappresentante legale con l’autorità di rappresentarlo, di prendere decisioni per suo conto o di esercitare un controllo sul soggetto stesso, assicura il rispetto delle disposizioni di cui al presente decreto”. Dette persone possono essere ritenute responsabili dell’inadempimento in caso di violazione delle disposizioni normative.
Alla luce di tali previsioni, è evidente l’obbligo comunicativo non si configura come un mero adempimento amministrativo, bensì come un passaggio determinante nella governance della cybersicurezza, destinato a incidere sulle responsabilità giuridiche e operative dei vertici aziendali.
Scadenze NIS: conseguenze in caso di mancata comunicazione
Il mancato rispetto delle scadenze NIS è sanzionato in modo significativo dal legislatore. In particolare, l’art. 38 del D. Lgs. 138/2024, ai commi 10 e 11, stabilisce un apparato sanzionatorio amministrativo pecuniario a carico dei soggetti classificati come essenziali o importanti che omettano di comunicare o aggiornare le informazioni richieste nei termini stabiliti.
La disposizione prevede che, in caso di violazione degli obblighi di comunicazione di cui all’art. 7, comma 4 e in genere, delle scadenza NIS, l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale possa irrogare una sanzione amministrativa fino a un massimo dello 0,1% del totale del fatturato annuo su scala mondiale, riferito all’esercizio precedente del soggetto obbligato.
Il dato normativo è chiaro nell’indicare che la responsabilità per l’inosservanza delle scadenze NIS può ricadere non soltanto sull’ente, ma anche su specifiche figure apicali, come previsto dall’art. 38, comma 5, laddove si accerti che la mancata comunicazione dipenda da condotte omissive o negligenti di soggetti titolari di poteri decisionali o di rappresentanza.
Scadenze NIS: il valore di una consulenza esperta nella gestione degli adempimenti
Sebbene gli obblighi informativi da adempiere possano apparire, a un primo sguardo, di natura meramente compilativa e amministrativa, l’esperienza dimostra come la corretta esecuzione degli adempimenti richieda un’attenta valutazione sotto il profilo giuridico e organizzativo.
La trasmissione dei dati tramite la piattaforma digitale dell’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, infatti, non si esaurisce in un semplice aggiornamento formale, ma implica la corretta identificazione dei soggetti responsabili, l’attribuzione di ruoli conformi a quanto previsto dalla normativa e la verifica puntuale della completezza e veridicità delle informazioni rese.
In particolare, come evidenziato nei precedenti paragrafi, la nozione di organi di amministrazione e organi direttivi non risulta agevolmente determinabile in tutti i contesti, specialmente in presenza di strutture complesse, articolazioni interne o assetti societari non lineari. Una valutazione sommaria o approssimativa potrebbe condurre all’inserimento in piattaforma di dati non conformi, esponendo l’organizzazione al rischio di sanzioni, anche personali, e compromettendo il rapporto di collaborazione con l’autorità di vigilanza.
In questa prospettiva, affidarsi all’assistenza di uno studio legale con expertise specifica in materia di cybersicurezza può rappresentare un fattore determinante per assicurare una gestione rigorosa e tempestiva degli obblighi.
Siamo a disposizione per un confronto sulle scelte operative della PA o dell’azienda nella fase di analisi organizzativa interna, al fine di assicurare il rispetto delle scadenze NIS per l’anno in corso.

Scadenze previste dal D. Lgs. 138/2024 (Direttiva NIS 2), con focus sugli adempimenti e obblighi di cybersicurezza per le imprese.
da Redazione | Apr 15, 2025 | Diritto d'Impresa
La registrazione del software, pur non costituendo un adempimento obbligatorio ai fini dell’acquisizione del diritto d’autore, rappresenta uno strumento di primaria rilevanza sotto il profilo giuridico e probatorio. Il diritto d’autore, infatti, tutela automaticamente l’opera dell’ingegno sin dal momento della sua creazione, a condizione che essa possieda il requisito dell’originalità ai sensi dell’art. 2, n. 8, della Legge 22 aprile 1941, n. 633.
Tuttavia, in assenza di un sistema pubblico di accertamento formale della paternità e della data di creazione, l’onere della prova in caso di contestazione grava sull’autore o sul titolare dei diritti. In tale prospettiva, la registrazione del software si configura come un presidio giuridico per attribuire certezza legale all’identità dell’autore, alla titolarità dei diritti e all’anteriorità dell’opera rispetto a eventuali rivendicazioni concorrenti.
In ambito imprenditoriale, inoltre, la registrazione del software assume ulteriore rilievo quale elemento idoneo a soddisfare specifici requisiti normativi. In particolare, l’art. 25, comma 2, del Decreto-Legge 18 ottobre 2012, n. 179, nel definire le condizioni per l’iscrizione nella sezione speciale delle startup innovative, richiede che la società sia titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto ovvero di un software registrato.
Sebbene la registrazione non sia imposta come un obbligo generalizzato, essa diventa, in casi normativamente tipizzati come quello testé menzionato, una condizione necessaria per accedere a specifici benefici giuridici e fiscali. La registrazione del software si pone dunque non solo come mezzo di tutela, ma anche come chiave di accesso a misure di incentivazione e riconoscimento dell’innovazione nel sistema economico nazionale.
Dopo aver approfondito, in un precedente contributo, i presupposti di brevettabilità del software e le peculiarità della tutela industriale, nel presente articolo ci si concentra sulla registrazione del software quale strumento volto a rafforzare la protezione legale dell’opera dell’ingegno attraverso modalità formali riconosciute dall’ordinamento.
Registrazione del software e tutela brevettuale: profili distintivi
Nel contesto della protezione giuridica del software, è essenziale distinguere con chiarezza la registrazione del software ai fini del diritto d’autore dalla tutela brevettuale prevista dal Codice della Proprietà Industriale. Le due forme di protezione si fondano su presupposti differenti, operano su piani giuridici distinti e producono effetti di diversa portata.
La registrazione del software, riconducibile all’ambito del diritto d’autore, riguarda la tutela dell’opera nella sua forma espressiva, ossia del codice sorgente quale prodotto creativo dell’ingegno umano. Tale protezione, che sorge automaticamente con la creazione dell’opera, ha per oggetto la specifica modalità con cui l’autore ha dato forma al programma, indipendentemente dalla funzione tecnica o dall’effetto che esso è in grado di produrre.
La tutela brevettuale, al contrario, è riservata a quei programmi per elaboratore che, integrandosi con un processo tecnico o con una soluzione innovativa, risultino idonei a soddisfare i requisiti di novità, attività inventiva e applicabilità industriale, come richiesto dagli articoli 45 e seguenti del Decreto Legislativo 10 febbraio 2005, n. 30.
In questo caso, l’oggetto della protezione non è la forma del codice, bensì la soluzione tecnica sottesa al software e il risultato industriale che essa consente di ottenere. Mentre il diritto d’autore consente di vietare la riproduzione o la diffusione non autorizzata del codice nella sua espressione letterale, il brevetto conferisce al titolare il diritto esclusivo di impedire a terzi la realizzazione della stessa invenzione funzionale, anche se implementata con codice differente.
Ne deriva che la registrazione del software, pur offrendo una tutela efficace sotto il profilo espressivo, non impedisce la riproduzione dell’idea funzionale sottostante, se non protetta da brevetto. Per tale ragione, le due forme di protezione sono tra loro diverse, e devono essere valutate in funzione della natura dell’opera e degli obiettivi attesi.
Registrazione del software presso la SIAE: disciplina ed efficacia giuridica
Tra le modalità riconosciute per formalizzare la registrazione del software, il deposito presso la Società Italiana degli Autori ed Editori (SIAE) rappresenta – per così dire – la via più istituzionale. La registrazione presso la SIAE consente al titolare del software di ottenere un attestato di deposito recante data certa, con effetto probatorio opponibile a terzi.
Tale attestazione non incide sull’esistenza del diritto d’autore, che nasce ex lege al momento della creazione dell’opera ai sensi dell’art. 6 della Legge 22 aprile 1941, n. 633 (“Il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale”), ma fornisce uno strumento documentale utile a comprovare la titolarità dell’opera, la sua esistenza a una determinata data e la specifica forma espressiva del codice sorgente. In questo senso, la registrazione del software presso la SIAE assolve una funzione certificativa che si rivela determinante in sede di contenzioso o per l’accesso a bandi o agevolazioni pubbliche.
La procedura di registrazione del software presso la SIAE si articola in una serie di adempimenti di natura documentale, tra cui la presentazione del modulo di richiesta, una descrizione tecnica dell’opera, una porzione significativa del codice sorgente (solitamente in formato .pdf) e una dichiarazione sostitutiva di atto notorio in cui il dichiarante attesti la titolarità del software e l’originalità dell’elaborato.
La SIAE, pur non effettuando una valutazione qualitativa del contenuto del codice, si limita a custodire e certificare il materiale depositato, garantendo la riservatezza dell’opera e la possibilità per il titolare di far valere i propri diritti patrimoniali e morali con il supporto di un documento ufficiale.
Ai sensi dell’art. 2704 del Codice civile, la data riportata nell’attestazione di deposito acquisisce efficacia legale e costituisce prova certa nei confronti di terzi. In conclusione, la registrazione del software presso la SIAE si configura come uno strumento di alto profilo per consolidare il regime giuridico di protezione dell’opera, rappresentando una scelta preferenziale per le imprese che intendano tutelare i propri diritti.
Registrazione del software mediante atto notarile
La registrazione del software può essere validamente effettuata anche tramite atto notarile, nelle forme dell’atto pubblico o della scrittura privata autenticata. Tale modalità consente di attribuire al deposito del software un valore probatorio rafforzato, grazie all’intervento di un pubblico ufficiale che garantisce l’identità delle parti, la data dell’atto e la conformità formale della documentazione allegata.
Invero, ai sensi dell’art. 2700 del Codice civile, l’atto pubblico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha redatto, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il notaio attesti avvenuti in sua presenza (tra cui la struttura del codice sorgente).
La forma notarile offre ulteriori garanzie sul piano della riservatezza, della conservazione nel tempo e della possibilità di aggiornamento del contenuto depositato. È prassi consolidata allegare all’atto una descrizione funzionale del software e una copia del codice sorgente, integralmente o per estratti significativi, redatti in modo da permettere l’individuazione dell’opera e la sua riconducibilità al dichiarante.
A differenza della registrazione presso la SIAE, l’intervento notarile consente altresì di formalizzare contestualmente clausole contrattuali tra le parti, come patti di riservatezza, impegni di sviluppo o attribuzione dei diritti in ambito aziendale o tra coautori. Ciò conferisce alla registrazione del software mediante atto notarile una potenziale dimensione negoziale, idonea a supportare l’organizzazione dei rapporti giuridici sottostanti alla creazione e allo sfruttamento dell’opera.
In tale prospettiva, la forma pubblica si rivela particolarmente adatta nei contesti imprenditoriali, start-up e joint venture tecnologiche, in cui la certezza giuridica costituisce un valore importante per l’affermazione competitiva sul mercato.
Registrazione del software con validazione temporale: modalità “alternative”
La registrazione del software può avvenire anche mediante l’impiego di strumenti digitali idonei a conferire data certa, autenticità e integrità al documento informatico contenente l’opera. Tale modalità trova fondamento giuridico nel quadro normativo delineato dal Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. 7 marzo 2005, n. 82) e nel Regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS), che disciplina i servizi fiduciari qualificati in ambito elettronico.
Ai sensi dell’art. 20, comma 1-bis, del Codice dell’Amministrazione Digitale, la data e l’ora di formazione di un documento informatico sono opponibili a terzi se apposte mediante firma elettronica qualificata o altro sistema che consenta di stabilire con certezza il momento della creazione del documento stesso. La validazione temporale, specie se associata a firma digitale, conferisce al documento un valore giuridico che lo rende equiparabile, sotto il profilo probatorio, a un atto dotato di data certa ex art. 2704 del Codice civile.
In questo contesto, la registrazione del software si realizza mediante il deposito, in formato elettronico, di una copia del codice sorgente e della documentazione tecnica allegata, da sottoporre a marcatura temporale presso un prestatore di servizi fiduciari qualificato, iscritto nell’elenco pubblico tenuto da AgID.
Tale operazione può avvenire in autonomia da parte del titolare o con l’assistenza di un soggetto terzo abilitato, e consente di ottenere un certificato elettronico attestante la data e l’immutabilità del contenuto depositato.
Sebbene la validazione temporale non comporti il deposito presso un ente pubblico, essa soddisfa pienamente i requisiti di certezza e tracciabilità richiesti dall’ordinamento, risultando particolarmente adatta nei contesti in cui sia necessario versionare frequentemente il software, tutelare singole evoluzioni successive o operare in ambienti digitali dinamici.
Tra le modalità riconosciute per la registrazione del software, merita attenzione anche il servizio reso disponibile da alcune Camere di Commercio, che consente di ottenere una marcatura temporale legalmente valida attraverso un sistema di deposito digitale certificato.
Il servizio, accessibile mediante l’area riservata del portale DIRE (Deposito Informatico Registrazioni Elettroniche), consente a imprese, professionisti e persone fisiche di depositare un documento informatico contenente il codice sorgente o la documentazione descrittiva del software, ottenendo contestualmente una marca temporale qualificata che ne certifica la data di esistenza e ne garantisce l’integrità. La procedura è conforme ai requisiti tecnici e giuridici stabiliti dal Regolamento (UE) n. 910/2014 (eIDAS) e dal Codice dell’Amministrazione Digitale (D. Lgs. 82/2005), in quanto prevede l’utilizzo di un sistema di firma digitale e conservazione a norma, gestito da un prestatore di servizi fiduciari qualificato.
Supporto legale nella registrazione del software: perché rivolgersi a un avvocato?
Nel quadro normativo attuale, la registrazione del software riveste una funzione particolarmente rilevante per le start-up innovative, ossia per quelle società di capitali che, ai sensi dell’art. 25, comma 2, del Decreto-Legge 18 ottobre 2012, n. 179, possono accedere a un regime agevolato se in possesso di determinati requisiti oggettivi e soggettivi.
Tra questi ultimi, è espressamente previsto che la società sia titolare, depositaria o licenziataria di almeno un brevetto o di un software registrato. In tal senso, la registrazione del software non è soltanto uno strumento di tutela, ma costituisce anche una condizione legale per il riconoscimento dello status di impresa innovativa, con tutti i benefici che ne derivano in termini fiscali, societari e di accesso semplificato a procedure pubbliche e private di finanziamento.
Le modalità di registrazione analizzate nel presente articolo – deposito presso la SIAE, atto notarile o deposito camerale – appaiono idonee a tal fine. Ma la scelta sulla modalità in concreto più opportuna è il frutto di una valutazione strategica e di convenienza in relazione alla specifica natura del software e all’utilizzo che ne viene fatto.
Oltre al contesto delle start-up, la registrazione del software rappresenta in generale un presidio giuridico di fondamentale importanza per qualsiasi soggetto economico o professionale che intenda attribuire certezza alla propria paternità creativa, prevenire contenziosi, regolamentare i rapporti giuridici con soggetti terzi o consolidare il valore di mercato dell’opera.
È in questa prospettiva che si comprende appieno il ruolo dell’assistenza legale nella gestione strategica della proprietà intellettuale: un avvocato può orientare nella scelta dello strumento di registrazione più adeguato al contesto operativo, redigere i necessari accordi di sviluppo, licenza e riservatezza, predisporre dichiarazioni autoriali coerenti con le esigenze probatorie e, più in generale, assicurare che l’intera architettura giuridica che circonda il software sia coerente con le aspettative economiche dell’impresa.
Il nostro Studio Legale assiste imprese, professionisti e start-up nell’intero percorso di tutela del software, offrendo supporto qualificato in materia di diritto dell’innovazione e delle nuove tecnologie. Contattaci per un confronto!

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da Redazione | Apr 14, 2025 | Diritto d'Impresa
Tutto pronto per la formazione dell’elenco dei soggetti NIS?
Nell’ambito della prima fase attuativa del decreto legislativo 4 settembre 2024, n. 138, recante attuazione della Direttiva (UE) 2022/2555 (c.d. Direttiva NIS 2), l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale ha avviato in questi giorni l’invio delle comunicazioni formali di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS a favore delle organizzazioni che hanno completato la procedura di registrazione nei termini previsti.
Tale attività si inserisce in un percorso più ampio di definizione del perimetro applicativo della normativa nazionale in materia di cybersicurezza, ed è volta a notificare ufficialmente ai soggetti interessati la loro riconducibilità all’ambito soggettivo delineato dagli articoli 3 e 7 del decreto.
La comunicazione viene trasmessa tramite posta elettronica certificata e si fonda su una Determinazione del Direttore Generale dell’Agenzia, che ha accolto (o eventualmente modificato) le valutazioni preliminari rilasciate in fase di registrazione, anche previa consultazione con l’Autorità di settore competente.
L’inserimento nell’elenco dei soggetti NIS comporta per l’organizzazione l’obbligo di conformarsi a un articolato regime di adempimenti, tra cui l’adozione di misure tecniche e organizzative di sicurezza, la notifica degli incidenti e l’aggiornamento costante delle informazioni registrate presso il portale dei servizi ACN.
Sotto il profilo sostanziale, l’effetto principale della comunicazione consiste nell’attribuzione della qualifica di soggetto “essenziale” o “importante”, con l’ulteriore conseguenza dell’assoggettamento a vigilanza, ispezioni e responsabilità specifiche.
Tuttavia, la natura amministrativa del procedimento e il carattere unilaterale del provvedimento consentono alle organizzazioni di attivare, entro termini determinati, importanti strumenti di tutela dei propri interessi, soprattutto qualora sussistano dubbi o contestazioni circa la correttezza dell’inquadramento operato dall’Autorità. I paragrafi che seguono illustreranno i principali rimedi esperibili da parte dei soggetti destinatari della comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS.
La registrazione al portale e la fase preliminare dell’inserimento nell’elenco dei soggetti NIS
Ai sensi dell’articolo 7 del decreto legislativo 4 settembre 2024, n. 138, i soggetti pubblici e privati potenzialmente rientranti nell’ambito di applicazione della normativa in materia di cybersicurezza avevano l’onere di provvedere alla propria registrazione tramite l’apposita piattaforma digitale messa a disposizione dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.
Il termine ultimo per la trasmissione della dichiarazione di registrazione era stato fissato al 28 febbraio 2025, come indicato dal combinato disposto degli articoli 7 e 42 del decreto. Tale adempimento si configurava quale presupposto necessario per consentire all’ACN di avviare il procedimento di individuazione dei soggetti “essenziali” e “importanti” da includere nell’elenco dei soggetti NIS, sulla base di criteri normativi e valutazioni tecnico-settoriali.
La procedura di registrazione è avvenuta attraverso il Portale dei Servizi dell’Agenzia, accessibile all’indirizzo portale.acn.gov.it, mediante l’invio telematico di una dichiarazione strutturata secondo un modello predefinito.
All’interno della piattaforma, le organizzazioni hanno avuto modo non soltanto di fornire le informazioni richieste in modo standardizzato, ma anche di compilare un campo libero, espressamente previsto per permettere agli operatori di inserire eventuali elementi informativi integrativi ritenuti utili ai fini della corretta valutazione da parte dell’Autorità.
In particolare, molte organizzazioni hanno utilizzato tale spazio per segnalare circostanze rilevanti ai fini di una potenziale esclusione dall’ambito soggettivo della disciplina, come ad esempio la non appartenenza a settori critici, il mancato superamento delle soglie dimensionali previste o la mancata rilevanza in concreto dell’attività formalmente svolta.
L’inserimento nell’elenco dei soggetti NIS è dunque l’esito di una valutazione complessa, che si pone a valle di un procedimento amministrativo. I destinatari della comunicazione di ACN potrebbero ritenere necessario attivare i rimedi previsti dall’ordinamento, qualora ritengano che l’attribuzione della qualifica di soggetto NIS non rispecchi correttamente la propria posizione.
Accesso agli atti e diritto alla conoscenza della Determinazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS
Il primo rimedio esperibile da parte dei soggetti che abbiano ricevuto la comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS consiste nella proposizione di un’istanza di accesso agli atti, ai sensi degli articoli 22 e seguenti della Legge 7 agosto 1990, n. 241, entro il termine di trenta giorni dalla ricezione della comunicazione trasmessa dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale.
L’istanza consente alla persona giuridica interessata di prendere visione e di estrarre copia dei documenti amministrativi che hanno condotto all’inserimento, tra cui in particolare la Determinazione del Direttore Generale dell’ACN che ha formalmente disposto l’iscrizione del soggetto come “essenziale” o “importante” nell’elenco previsto dall’articolo 7, comma 3, lettera a), del decreto legislativo 138/2024.
L’accesso è finalizzato alla conoscenza integrale del procedimento istruttorio, dei presupposti tecnici, dei pareri eventualmente acquisiti e delle valutazioni espresse dall’Autorità di settore, al fine di consentire al soggetto interessato una valutazione consapevole e tempestiva delle possibili iniziative difensive, sia in sede procedimentale che contenziosa.
In particolare, qualora la qualificazione disposta dall’ACN risulti divergente rispetto alla dichiarazione inizialmente resa in fase di registrazione, sarà utile verificare se la rivalutazione sia stata fondata su presupposti e motivazioni giuridicamente fondati.
L’istanza deve essere presentata nelle forme previste per i procedimento di accesso agli atti. Salvo che sia diversamente stabilito, l’amministrazione ha l’obbligo di concludere il procedimento entro trenta giorni, adottando un provvedimento espresso e motivato sull’accoglimento o il rigetto dell’istanza, ai sensi dell’articolo 25 della legge n. 241/1990.
In caso di diniego, espresso o tacito, il soggetto potrà ricorrere al giudice amministrativo secondo quanto previsto dall’articolo 116 del Codice del processo amministrativo, tutelando così il proprio diritto alla trasparenza e al contraddittorio effettivo nell’ambito dell’inserimento nell’elenco dei soggetti NIS.
Memoria integrativa nel procedimento di verifica ex post dell’inserimento nell’elenco dei soggetti NIS
Oltre al rimedio dell’accesso agli atti, le organizzazioni che abbiano ricevuto la comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS possono esercitare una forma di partecipazione procedimentale diretta mediante la presentazione, entro sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione, di una memoria integrativa nell’ambito del procedimento di verifica ex post previsto dalla normativa.
Tale facoltà trova fondamento nel più generale principio di partecipazione procedimentale sancito dall’articolo 10 della Legge n. 241/1990. La memoria integrativa consente al soggetto interessato di apportare nuovi elementi valutativi, chiarimenti documentali o osservazioni giuridiche che possano incidere sulla conferma o sull’eventuale revisione della classificazione operata dall’Agenzia.
In particolare, la fase di verifica ex post si configura come una prosecuzione del procedimento amministrativo, nel corso della quale l’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale potrà riesaminare le determinazioni assunte alla luce di quanto rappresentato dalla parte. Ciò si rivela particolarmente rilevante nei casi in cui la valutazione inizialmente effettuata in sede di registrazione sia stata modificata senza un contraddittorio anticipato o su presupposti non conosciuti dall’organizzazione.
Di regola, la comunicazione ricevuta da ACN contiene l’indicazione dell’apertura della fase di verifica e invita espressamente le organizzazioni ad attivarsi mediante il Portale dei Servizi, entro il termine perentorio di sessanta giorni. È in tale sede che potrà essere trasmessa la memoria integrativa, corredata da eventuale documentazione tecnica o da pareri giuridici, in grado di dimostrare l’inapplicabilità della disciplina o l’erroneità dell’inquadramento come soggetto “essenziale” o “importante”.
La trasmissione della memoria, pur non sospendendo gli effetti della comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS, potrà consentire una rivalutazione della posizione dell’Agenzia.
Ricorso al TAR contro la comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS: termini e presupposti
Nel quadro dei rimedi esperibili da parte delle organizzazioni destinatarie della comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS, assume particolare rilievo la possibilità di proporre ricorso giurisdizionale dinanzi al Tribunale amministrativo regionale del Lazio, sede di Roma, ai sensi dell’articolo 29 del Codice del processo amministrativo.
Tale ricorso è proponibile entro il termine di sessanta giorni dalla ricezione della comunicazione adottata dall’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale, laddove sussistano fondati motivi di illegittimità del provvedimento impugnato.
Il ricorso al TAR rappresenta un’extrema ratio, e presuppone una prudente valutazione della fondatezza delle censure proponibili, alla luce sia della normativa vigente, sia delle risultanze documentali acquisite, in particolare a seguito di eventuale accesso agli atti.
A titolo esemplificativo, possono rilevare profili di difetto di motivazione, violazione del contraddittorio, errore nei presupposti di fatto, errata applicazione della normativa di settore o insussistenza dei criteri oggettivi di inclusione di cui agli Allegati I-IV del decreto.
È importante sottolineare che, nel sistema delineato dal decreto legislativo 138/2024, la comunicazione di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS non costituisce una mera presa d’atto formale, bensì incide in modo significativo sul regime giuridico cui l’organizzazione sarà sottoposta, comportando obblighi di sicurezza, responsabilità, controlli e sanzioni.
Ne deriva la necessità, per il soggetto interessato, di considerare il contenzioso solo qualora si ravvisi un pregiudizio concreto e attuale, fondato su elementi oggettivi e sostenuto da una solida ricostruzione dei fatti e del diritto.
Assistenza legale specializzata nei procedimenti di inserimento nell’elenco dei soggetti NIS
L’inserimento nell’elenco dei soggetti NIS comporta per le organizzazioni interessate una profonda trasformazione nel proprio assetto regolatorio e operativo. L’attribuzione della qualifica di soggetto “essenziale” o “importante” incide direttamente sull’organizzazione interna, imponendo l’adozione di specifiche misure tecniche e organizzative, l’obbligo di notifica degli incidenti e la soggezione a controlli, ispezioni e regimi sanzionatori.
L’attivazione dei rimedi previsti dall’ordinamento – sia nella forma dell’accesso agli atti e della partecipazione procedimentale, sia attraverso un eventuale contenzioso giurisdizionale – richiede una competenza specifica e settoriale. Il nostro Studio offre assistenza qualificata a imprese e pubbliche amministrazioni tenute alla registrazione sul portale dei soggetti NIS; siamo a disposizione per un confronto preliminare sull’inserimento della vostra organizzazione nell’elenco dei soggetti NIS.
da Redazione | Apr 8, 2025 | Diritto civile
Il ricorso all’ABF (Arbitro Bancario Finanziario) rappresenta una delle principali espressioni del diritto del cliente a ottenere giustizia in tempi rapidi e con costi contenuti, nell’ambito di un sistema che, in linea con le tendenze europee, promuove strumenti di risoluzione alternativa delle controversie (ADR) idonei a decongestionare il contenzioso ordinario.
I rapporti tra consumatori, microimprese e intermediari finanziari sono infatti caratterizzati da una crescente complessità, che spesso sfocia in disallineamenti informativi e squilibri contrattuali. L’istituto del ricorso all’ABF, operante sotto la supervisione della Banca d’Italia, si inserisce in questo quadro quale presidio di tutela sostanziale, capace di offrire al cliente una risposta imparziale, fondata su criteri giuridici e prassi consolidate, senza la necessità di intraprendere un giudizio ordinario.
Il vantaggio primario del ricorso all’ABF risiede nella rapidità della procedura: a fronte di termini di definizione tendenzialmente contenuti entro sei mesi dalla proposizione del ricorso, il cliente può ottenere una decisione motivata, emessa da un collegio di esperti dotati di specifiche competenze in materia bancaria e finanziaria.
Ulteriore elemento di forza è rappresentato dalla economicità del procedimento, il cui costo è limitato alla somma di venti euro per il ricorrente, a titolo di contributo spese, con l’esonero da ogni onere legale obbligatorio.
Sebbene la procedura sia concepita in modo da risultare accessibile anche al cittadino privo di difensore, ciò non esclude che la presenza di un avvocato possa incidere in modo significativo sulla chiarezza delle argomentazioni giuridiche e sulla tenuta complessiva dell’istanza.
L’efficacia del ricorso all’ABF si misura inoltre nella sua capacità di offrire un punto di vista autorevole in ordine alla legittimità dei comportamenti tenuti dagli intermediari, contribuendo alla formazione di un orientamento uniforme nelle relazioni contrattuali in ambito bancario.
Le decisioni dei Collegi, pur non avendo valore giurisdizionale, influenzano la prassi del settore e sono frequentemente rispettate dagli operatori, anche per il rilievo reputazionale delle loro condotte. Il tema merita approfondimento, con particolare riguardo ai presupposti e alle modalità di presentazione del ricorso.
Ricorso all’ABF: natura, istituzione e fondamento normativo
L’Arbitro Bancario Finanziario è un sistema di risoluzione alternativa delle controversie previsto dall’articolo 128-bis del Testo Unico Bancario (D.lgs. 1° settembre 1993, n. 385), introdotto con l’intento di offrire ai clienti degli intermediari un rimedio stragiudiziale efficace, sotto il controllo istituzionale della Banca d’Italia. L’attuazione di tale previsione normativa è avvenuta con la delibera del CICR n. 275 del 29 luglio 2008, che ha disciplinato l’istituzione e il funzionamento dell’ABF, attribuendogli la competenza a decidere, su base documentale, le controversie tra clienti e operatori bancari e finanziari.
Il ricorso all’ABF si configura quindi come un meccanismo speciale, il cui fondamento normativo risiede in una disciplina primaria integrata da fonti regolamentari.
La natura dell’ABF non è giurisdizionale: si tratta infatti di un organo collegiale, autonomo nelle decisioni, ma incardinato funzionalmente nell’ambito delle competenze della Banca d’Italia, che svolge un ruolo di indirizzo e vigilanza sul corretto svolgimento della procedura.
I Collegi dell’ABF, istituiti su base territoriale, sono composti da membri dotati di elevata competenza giuridica ed economica, e decidono secondo diritto, anche tenendo conto dell’equità, come espressamente previsto dal regolamento attuativo. Il procedimento, che culmina nella decisione sul ricorso all’ABF, si svolge interamente in forma scritta, senza udienza pubblica, ed è fondato sulla valutazione degli atti e dei documenti prodotti dalle parti.
Sebbene le decisioni non abbiano forza di legge, l’intermediario è tenuto a uniformarsi salvo che non motivi espressamente il proprio dissenso, seguendo una particolare procedura che coinvolge la Banca D’Italia. Questo meccanismo di vigilanza indiretta, unito al prestigio dell’organo, contribuisce a garantire l’effettività del ricorso all’ABF, rendendolo un punto di riferimento stabile per la gestione delle controversie in materia bancaria.
Ricorso all’ABF: ambito di applicazione e tipologie di controversie trattabili
Il ricorso all’ABF può essere esperito in relazione a controversie tra clienti e intermediari bancari o finanziari, purché riconducibili a operazioni e servizi regolati dal Testo Unico Bancario, dal Testo Unico della Finanza o dalla disciplina dei servizi di pagamento, secondo quanto stabilito dal Regolamento dell’Arbitro.
I soggetti legittimati a proporre ricorso sono i clienti persone fisiche, compresi i consumatori, nonché le microimprese, vale a dire quelle realtà imprenditoriali che, ai sensi della normativa europea recepita nel nostro ordinamento, occupano meno di dieci persone e realizzano un fatturato o un totale di bilancio annuo non superiore a due milioni di euro. L’intermediario contro il quale si intende presentare il ricorso all’ABF deve essere soggetto vigilato, iscritto negli albi o elenchi tenuti dalla Banca d’Italia e operante in Italia, anche se con sede estera.
Quanto alla materia del contendere, l’Arbitro è competente a pronunciarsi su controversie relative a servizi e operazioni bancarie e finanziarie, tra cui l’apertura e la gestione di conti correnti, il rilascio di carte di pagamento, l’erogazione di finanziamenti, i contratti di deposito e le operazioni di investimento.
Rientrano inoltre nella competenza dell’ABF le problematiche connesse all’esecuzione di bonifici, all’addebito di costi non pattuiti, alla modifica unilaterale delle condizioni contrattuali e all’inadempimento di obblighi informativi, specie in relazione alla trasparenza e alla correttezza delle comunicazioni con il cliente.
Il ricorso all’ABF non è invece ammissibile quando la controversia implichi l’accertamento di responsabilità extracontrattuale, l’esercizio di poteri discrezionali dell’intermediario o la valutazione di profili soggettivi che richiedano l’assunzione di prove orali o istruttorie complesse.
È inoltre necessario che, prima di proporre il ricorso all’ABF, il cliente abbia inoltrato un reclamo scritto all’intermediario, attendendo la risposta nel termine di sessanta giorni ovvero, in mancanza di riscontro, decorsi inutilmente i termini.
La tempestività è essenziale: il ricorso deve essere presentato entro dodici mesi dalla proposizione del reclamo. In questo quadro, l’Arbitro non si sostituisce al giudice, ma opera come strumento di verifica della correttezza dell’agire bancario alla luce delle fonti normative e degli obblighi di buona fede e diligenza professionale. La varietà delle materie trattabili e l’impostazione tecnico-specialistica del procedimento rendono il ricorso all’ABF uno strumento accessibile ma non privo di complessità, il cui corretto utilizzo presuppone una consapevolezza dei limiti e delle potenzialità dell’organo.
Ricorso all’ABF: procedura, fasi e decisioni dell’Arbitro Bancario Finanziario
Il procedimento che conduce alla decisione sul ricorso all’ABF è caratterizzato da semplicità formale e da un’impostazione interamente documentale, con lo scopo di assicurare rapidità e accessibilità nella trattazione delle controversie.
L’avvio della procedura è subordinato alla previa proposizione di un reclamo scritto all’intermediario, che deve essere presentato dal cliente entro i termini ordinariamente previsti, ossia non oltre dodici mesi dalla conoscenza dei fatti contestati. Solo in caso di mancata risposta nel termine di sessanta giorni o di risposta insoddisfacente, il cliente può attivare la fase successiva, mediante la proposizione del ricorso all’ABF attraverso il portale digitale dell’Arbitro, oppure per il tramite di una filiale della Banca d’Italia.
La presentazione del ricorso comporta il versamento di un contributo spese di modesta entità da parte del cliente, attualmente pari a venti euro, ed è seguita dalla notifica all’intermediario, che ha diritto di depositare controdeduzioni e documentazione difensiva entro il termine previsto dal Regolamento.
La decisione è assunta dal Collegio competente per territorio, in composizione collegiale, sulla base degli atti trasmessi e senza possibilità di udienza orale. Il procedimento si fonda sui principi del contraddittorio e della parità delle parti, ed è disciplinato secondo regole che garantiscono imparzialità, trasparenza e coerenza interpretativa. Il termine per la definizione del ricorso all’ABF è generalmente contenuto entro centottanta giorni dalla sua presentazione, salve le ipotesi eccezionali di proroga per la complessità della controversia.
Le decisioni dell’Arbitro, pur non avendo valore di sentenza e dunque non producendo effetti esecutivi diretti, sono normalmente eseguite dall’intermediario nei limiti dell’accreditamento presso la Banca d’Italia. La mancata ottemperanza può determinare conseguenze reputazionali rilevanti, anche alla luce dell’obbligo di pubblicare l’inadempimento sul sito dell’ABF e della Banca d’Italia.
Il cliente, in ogni caso, conserva il diritto di adire l’autorità giudiziaria, senza che l’esperimento del ricorso all’ABF precluda l’accesso al giudizio ordinario. Tuttavia, è opportuno precisare che, qualora il cliente proponga ricorso giurisdizionale durante la pendenza del procedimento dinanzi all’ABF, quest’ultimo viene archiviato per sopravvenuta inammissibilità.
La procedura arbitrale non può infatti svolgersi parallelamente al giudizio civile, in ossequio al principio di unicità del procedimento per l’identico oggetto. Il ricorso all’ABF mantiene dunque natura alternativa, ma non preclusiva, rispetto all’azione giudiziaria: il cliente può scegliere quale via percorrere, ma non attivarle contestualmente
Infine, è utile rappresentare che, in relazione alle controversie insorte tra clienti e intermediari bancari o finanziari aventi ad oggetto rapporti riconducibili alla disciplina del Testo Unico Bancario e del Testo Unico della Finanza, la proposizione del ricorso all’Arbitro Bancario Finanziario, laddove regolarmente introdotta e definita nel rispetto del Regolamento applicabile, può integrare – secondo l’interpretazione accolta in modo ormai prevalente dalla giurisprudenza di merito – una valida alternativa all’esperimento del procedimento di mediazione disciplinato dal D.lgs. 4 marzo 2010, n. 28.
In particolare, il ricorso all’ABF, in quanto fondato su criteri di imparzialità, autonomia decisionale e rispetto del contraddittorio, è ritenuto idoneo a soddisfare la condizione di procedibilità di cui all’art. 5, comma 1-bis, del citato decreto legislativo, qualora verta sulla medesima questione che il ricorrente intenda successivamente far valere in sede giudiziale.
Resta tuttavia necessario che il procedimento arbitrale si sia effettivamente concluso, secondo i tempi e le modalità previste, e che l’oggetto del ricorso coincida sostanzialmente con quello della domanda giudiziale, onde evitare profili di inammissibilità derivanti da un improprio cumulo o da un uso disallineato dei rimedi alternativi previsti dall’ordinamento.
Ricorso all’ABF: frodi informatiche e responsabilità degli intermediari per carenze nelle misure di sicurezza
Tra le materie che sono talvolta sottoposte all’attenzione dell’Arbitro Bancario Finanziario figurano le frodi informatiche, purtroppo diffuse in ambito bancario, con particolare riferimento a operazioni di pagamento effettuate senza autorizzazione del cliente. Si tratta, in genere, di addebiti generati mediante tecniche di phishing, smishing o malware, o ancora a seguito dell’intercettazione di credenziali d’accesso e codici dispositivi.
In presenza di tali eventi, il ricorso all’ABF può rappresentare un rimedio potenzialmente utile per verificare la responsabilità dell’intermediario, specialmente nei casi in cui il cliente ritenga che le misure di sicurezza adottate non siano state idonee a prevenire accessi abusivi o utilizzi fraudolenti dei servizi online.
Alla luce del D.lgs. 11/2010, che recepisce la normativa europea in materia di servizi di pagamento, spetta all’intermediario dimostrare che l’operazione è stata eseguita correttamente, che è stata debitamente autenticata e che non vi siano stati malfunzionamenti riconducibili ai propri sistemi.
Le decisioni sinora pubblicate dall’Arbitro sembrerebbero accogliere una lettura piuttosto rigorosa dell’onere probatorio in capo all’intermediario, richiedendo un’attenta verifica delle modalità di autenticazione e dei meccanismi di protezione impiegati. Anche in presenza di autenticazione forte, non si escluderebbe, in via generale, la responsabilità dell’intermediario qualora emergano vulnerabilità strutturali nei sistemi di controllo antifrode o carenze organizzative nella gestione della sicurezza.
Nel contesto di una frode, il ricorso all’ABF potrebbe quindi offrire al cliente uno strumento celere ed economicamente sostenibile per far valere le proprie ragioni, senza la necessità di ricorrere immediatamente al contenzioso ordinario.
L’efficacia del rimedio dipenderebbe, naturalmente, dalla specificità del caso concreto e dalla documentazione disponibile.
Ricorso all’ABF: perché rivolgersi a un avvocato sin dalla fase del reclamo
Sebbene la procedura di ricorso all’ABF sia concepita come accessibile anche al cittadino privo di difensore, l’assistenza di un avvocato potrebbe rivelarsi determinante sin dalla fase preliminare del reclamo all’intermediario.
L’esperienza professionale nella gestione del contenzioso bancario consente infatti al legale non soltanto di redigere un reclamo formalmente corretto e completo sotto il profilo probatorio, ma anche di selezionare gli aspetti giuridicamente rilevanti e di inquadrare correttamente la fattispecie nel sistema delle fonti normative applicabili.
La presenza di un professionista abilitato sin dall’inizio del procedimento consentirebbe inoltre di evitare errori nella presentazione della documentazione o nella scelta degli argomenti, che potrebbero pregiudicare l’esito del reclamo o la strategia processuale complessiva.
Nel passaggio dalla fase del reclamo a quella del ricorso all’ABF, l’avvocato può offrire un contributo strategico, anche in considerazione del fatto che l’Arbitro decide sulla base esclusiva degli atti scritti e della documentazione allegata dalle parti.
La possibilità di avvalersi dell’assistenza di un legale, pur non obbligatoria, risponde quindi a una logica di ottimizzazione delle risorse difensive: la consulenza dell’avvocato consente di evitare percorsi inutilmente dispendiosi o non appropriati rispetto al caso concreto, e di predisporre una strategia coerente fin dalla fase iniziale del contrasto con l’intermediario.
Il ricorso all’ABF, se ben impostato, potrebbe risolversi in una decisione favorevole già in sede stragiudiziale, con evidenti vantaggi in termini di tempo, costi e contenimento del rischio, anche sotto il profilo delle ripercussioni patrimoniali e reputazionali per il cliente.
Ricorso all’ABF: vantaggi dell’assistenza legale
Il ricorso all’ABF si configura come uno strumento di tutela efficace e accessibile, che consente a consumatori e microimprese di far valere le proprie ragioni nei confronti di banche e altri intermediari senza dover affrontare i tempi e i costi del giudizio ordinario.
La struttura semplificata del procedimento, l’assenza di formalismi processuali e l’autorevolezza dei Collegi rendono l’ABF un punto di riferimento per la risoluzione delle controversie in materia di servizi bancari e finanziari, soprattutto nei casi in cui il valore economico della pretesa non giustifichi l’inizio di una causa civile.
In tale prospettiva, l’assistenza di un avvocato può rappresentare un fattore decisivo nella costruzione di una strategia efficace, già a partire dalla redazione del reclamo stragiudiziale.
Lo Studio Legale D’Agostino assiste da anni privati, imprese ed enti nella gestione di controversie bancarie e finanziarie, offrendo consulenza legale qualificata nei procedimenti alternativi di risoluzione delle controversie, con particolare attenzione all’ambito dei sistemi ADR regolati dalle autorità di vigilanza. Contattaci per un primo consulto!